Il Regno Unito, patria storica del liberalismo e della difesa delle libertà civili, si trova oggi sull’orlo di una svolta inquietante: l’introduzione di un sistema di identità digitale obbligatoria per tutti i cittadini e residenti.
Il governo di Keir Starmer, incalzato dalle pressioni populiste sull’immigrazione e desideroso di apparire fermo nel controllo delle frontiere, presenta il progetto come uno strumento moderno ed efficiente per combattere il lavoro nero e regolare l’accesso ai servizi pubblici. Ma dietro la retorica dell’efficienza e della sicurezza si cela una trasformazione silenziosa del rapporto tra cittadino e Stato.
L’idea che ogni individuo debba essere registrato, identificabile e tracciabile tramite un dispositivo digitale, magari legato a banche dati governative e accessibile da algoritmi di controllo, evoca scenari ben lontani dalla tradizione britannica di diffidenza verso il potere centralizzato.
Per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale, Londra si appresta a dotarsi di un sistema che rischia di ridurre la libertà concreta delle persone in nome di una sicurezza virtuale. È vero che la misura è, al momento, limitata al “diritto di lavorare” e che il governo assicura che nessuno sarà costretto a mostrare il proprio ID, ma la storia insegna che ogni tecnologia di sorveglianza nasce con un pretesto nobile e finisce per diventare uno strumento di controllo generalizzato.
Oggi è il lavoro, domani sarà l’accesso ai trasporti, poi ai conti bancari, infine alla vita stessa in società. La Cina, con il suo sistema di “credito sociale”, ha già mostrato quanto rapidamente un’infrastruttura digitale possa trasformarsi in una gabbia invisibile dove ogni comportamento è registrato, valutato e premiato o punito.
Pensare che l’Occidente sia immune a tale deriva significa ignorare la logica interna del potere tecnologico: ciò che è possibile fare, prima o poi, viene fatto. In nome della sicurezza, dell’efficienza, del progresso. Il rischio, dunque, non è tanto quello di un abuso immediato, quanto di un’abitudine lenta e indolore al controllo, una normalizzazione della trasparenza obbligatoria che finirà per dissolvere il diritto alla riservatezza e all’anonimato.
La libertà inglese, quella che non aveva mai tollerato il documento obbligatorio, che aveva visto in Orwell il profeta di un totalitarismo fondato sullo sguardo del Grande Fratello, rischia di essere sacrificata sull’altare di un consenso costruito dalla paura. Se il Regno Unito, culla del parlamentarismo e della coscienza civica, accetterà di trasformare i suoi cittadini in codici digitali, allora il passo verso un sistema “stile Cina” non sarà più una minaccia teorica, ma una tappa inevitabile della modernità senza freni.
