Nel cuore del Sahel, tra il Mali, il Niger e il Burkina Faso, si sta formando un nuovo epicentro dell’instabilità mondiale: un “Sahelistan” in cui il jihadismo, alimentato dall’estremismo islamico e dall’assenza dello Stato, sta sostituendo le istituzioni legittime con reti di potere armato e religioso.
È una tragedia sotto i nostri occhi, una lenta disgregazione politica e morale che nasce dal fanatismo e dalla violenza mascherati da religione.
In Mali, i gruppi affiliati ad al Qaida hanno bloccato le forniture di carburante, incendiando decine di autocisterne dirette verso Bamako: un atto di guerra economica che ha paralizzato scuole, ospedali e trasporti, facendo precipitare un intero Paese nel buio.
È così che agisce l’estremismo islamico: colpisce la vita quotidiana, trasforma la fede in paura, la povertà in arma, l’ignoranza in dominio.
In Niger, la situazione non è diversa: la giunta militare che governa dal 2023 controlla solo la capitale, mentre nelle regioni di Tillabéri e Dosso si combatte una guerra dimenticata.
Gli attacchi terroristici sono aumentati da 62 a 101 in un solo anno, le vittime sono quasi raddoppiate, e nel 2025 si contano già mille morti.
Non è solo violenza, è un progetto politico fondato sull’odio: sostituire lo Stato con la paura, la legge con il terrore, la religione con il fanatismo.
L’estremismo islamico usa il nome di Dio per giustificare massacri, impone il silenzio alle donne, distrugge scuole e ospedali, e trasforma i giovani in carne da cannone. È un potere che prospera dove c’è miseria e isolamento, dove le potenze occidentali si ritirano e le popolazioni restano sole.
La Francia è stata costretta a lasciare il Sahel, gli Stati Uniti hanno ridotto la loro presenza, mentre la Russia riempie il vuoto con mercenari e propaganda, la Turchia rafforza le sue basi e la Cina punta alle risorse minerarie.
L’Italia, con la missione Misin, è tra i pochi Paesi rimasti, a sostegno delle forze nigerine e dei progetti umanitari, un segno di responsabilità che dovrebbe ispirare tutta l’Europa. Ma non basta.
L’estremismo islamico si combatte con la fermezza delle armi e la forza della cultura, con l’educazione, con la speranza, con la costruzione di Stati veri. Perché il jihadismo si nutre del vuoto: il vuoto di giustizia, di libertà, di istruzione.
Laddove lo Stato arretra, le milizie jihadiste prendono il controllo del carburante, del traffico di migranti, delle materie prime, imponendo una nuova economia criminale che si sostituisce a quella legale.
A Niamey, la criminalità è tornata visibile, i rapimenti sono quotidiani, e intere regioni vivono fuori da ogni ordine civile. Questo è il volto dell’estremismo islamico: una negazione della civiltà, un insulto a Dio, una minaccia diretta alla dignità umana.
Oggi il Sahel è il laboratorio di questa follia, ma domani potrebbe esserlo un’altra parte del mondo. Restare indifferenti significherebbe accettare che il terrore diventi la nuova legge. Occorre reagire, con lucidità e coraggio, perché nessuna religione può giustificare l’assassinio, e nessun Dio può chiedere il sacrificio dell’uomo sull’altare dell’odio. L’estremismo islamico è il nemico dell’umanità e della libertà: combatterlo è un dovere morale, non solo politico.
