Da troppo tempo il popolo ebraico osserva con sconcerto e dolore una narrazione distorta che dipinge i palestinesi solo come vittime passive, ignorando volutamente una realtà ben più complessa e scomoda: quella di una causa manipolata, sfruttata, e sistematicamente strumentalizzata da molti Paesi arabi, che hanno trasformato la questione palestinese non in una tragedia da risolvere, ma in una risorsa strategica da preservare.
Non è un caso se, per oltre settant’anni, chi ha gridato “Palestina libera” non ha mai fatto nulla di concreto per darle davvero quella libertà.
I confini con Gaza rimangono chiusi, le opportunità negate, i diritti civili sospesi. Nei campi profughi in Libano, Siria e Giordania, i palestinesi non sono mai stati trattati come fratelli, ma come stranieri indesiderati, sospesi in un limbo giuridico ed esistenziale utile solo alla retorica.
Se la sofferenza palestinese fosse davvero un’urgenza umanitaria, sarebbe bastato aprire le porte, offrire cittadinanza, garantire futuro. Ma la verità è che la loro condizione di vittime è troppo preziosa per essere sciolta. Serve a mantenere viva l’ostilità verso Israele, a distogliere l’attenzione dalle dittature locali, a raccogliere fondi e sostegno internazionale.
Ogni immagine di distruzione, ogni grido di dolore viene trasformato in arma mediatica, in leva per accusare Israele, demonizzare gli ebrei, mobilitare folle.
E tutto questo avviene mentre l’odio viene inculcato sin dall’infanzia, attraverso libri di testo che negano l’esistenza d’Israele, sermoni che glorificano la morte come strumento di resistenza, e leadership che rifiutano qualsiasi via diplomatica, preferendo il conflitto perpetuo alla coesistenza.
Il popolo che ha conosciuto l’esilio, la persecuzione, la Shoah, sa cosa significhi essere senza patria e senza diritti. Ma sa anche che la salvezza non arriva con il vittimismo, né con la guerra permanente.
Israele è nato come rifugio, come risposta a secoli di oppressione. E invece di essere accolto come realtà legittima, è stato trattato come corpo estraneo, come nemico da eliminare.
Non ci stupisce quindi che Hamas, oggi, si faccia scudo dei propri civili, costruisca tunnel sotto gli ospedali, lanci razzi da scuole e moschee, contando sul fatto che ogni risposta israeliana – anche quella più mirata – generi vittime da esibire al mondo.
È una strategia cinica, in cui la vita dei propri figli vale meno dell’impatto di un’immagine sui social. E intanto, ogni offerta di pace è stata respinta, ogni occasione di compromesso bruciata. Gli Accordi di Oslo, il ritiro da Gaza, le proposte di confini condivisi: tutte rifiutate in nome di una narrativa assolutista, in cui la distruzione di Israele è più importante della costruzione della Palestina.
E mentre Israele manda aiuti umanitari a chi li bombarda, e cerca la pace con chi ci nega il diritto di esistere, il mondo accusa Israele.
Chiedono moderazione, mentre Israele è circondata da chi invoca il suo annientamento. Ad Israele si vogliono imporre simmetrie morali inesistenti, dimenticando che la democrazia israeliana – con tutti i suoi limiti – resta un faro in una regione dominata da teocrazie e regimi repressivi.
Eppure, Israele continua a difendersi, non perché ama la guerra, ma perché non può permettersi di perdere.
Per Israele la sconfitta non è un cambio di governo, è la fine. E chi si illude di aiutare i palestinesi chiudendo gli occhi su tutto questo, non è un amico della pace. È complice di un sistema che non cerca soluzioni, ma perpetua il dolore.
Chi sostiene Hamas o ne giustifica le azioni non sta difendendo i diritti dei palestinesi: sta collaborando con un culto che predica la morte, che sacrifica generazioni sull’altare dell’odio, che non costruisce ospedali ma arsenali, che non sogna uno Stato, ma la cancellazione di un altro.
E gli ebrei che vogliono vivere, continuare a costruire, a innovare, a educare i loro figli alla vita e non alla morte, lo dicono chiaramente: “non ci faremo insegnare la morale da chi celebra il martirio. Non accetteremo lezioni da chi ignora volutamente i rifiuti palestinesi alla pace, i crimini dei loro leader, le scelte tragiche e le alleanze distruttive che hanno fatto”.
Israele non è perfetto, ma è concreto. E vuole restare. E mentre il mondo continua a fare hashtag con il sangue degli altri, continuerà a difendere il suo diritto ad esistere, a cercare la pace con chi la vorrà davvero, e a rifiutare l’ipocrisia di chi si commuove per Gaza ma tace su Hamas, che tiene un intero popolo in ostaggio non per salvarlo, ma per sacrificarlo.

Questa è la classica narrazione giudaica della situazione. L’odio viene insegnato a scuola? Certamente: nelle scuole israeliane dove si insegna l ‘uso delle armi con bersagli a forma di “arabo”. Dal 1948 in poi per passare dalla NAQBA al genocidio in corso e’ una lunga storia di apartheid documentata da decine di documentari e centinaia di testimoni non arabi. Che poi Israele mandi aiuti umanitari….chi scrive ha una visione della realtà completamente rovesciata. Non un caso: è il doublespeaking di cui tante volte ha scritto un giudeo illuminato, G. Atzmon; modello di comunicazione che ribalta la realtà per l’interlocutore. Su una cosa sono d’accordo: una seria volontà politica di tutti avrebbe risolto la situazione: un serio boicottaggio economico di Israele. Niente bombe o assassinii ma un semplice boicottaggio; come quello che i Giudei chiesero e attuarono in USA contro la Germania, PRIMA, della Notte dei Cristalli e dopo il libro di T. Kaufman “La Germania deve morire”. Ma tutti, Paesi arabi per primi, non l’hanno fatto e la colpa ricade su di loro come sui macellai dell’IDF. Dio, quello cristiano, vede e, da credente, giudicherà come noi crediamo. P.s. L’ Islam non mette Gesu’ nelle feci bollenti e non dichiara che la Madonna e’ una prostituta.