Ricordare Ugo Foscolo (Zante, 6 febbraio 1778 – Turnham Green, Londra, 10 settembre 1827) nei giorni della commemorazione dei defunti può sembrare scolastico ma non lo è, perché è il più grande poeta civile italiano, uno dei più straordinari e intensi poeti e intellettuali della nostra storia.
Il suo capolavoro è il poemetto incompiuto Le Grazie, ma, in decenni di frequentazione con il poeta di Zacinto, ho voluto privilegiare – devo dire con successo sempre più crescente nei miei studenti – i 295 memorabili versi dei Sepolcri, uno dei testi più celebri della letteratura di ogni tempo, perché nessuno meglio di lui – che pure era ateo e materialista – da poeta civile altissimo qual era ha saputo cantare l’importanza dei sepolcri e il loro valore sociale e civile per i vivi.
Terminati nell’autunno del 1806 e dedicati all’amico cattolico Pindemonte, contro l’editto napoleonico di Saint Cloud che, fingendo di regolamentare le pratiche sepolcrali (stabilendo – tra l’altro – di portare i cimiteri fuori delle mura cittadine e di non scrivere epitaffi sulle tombe dei defunti) in realtà voleva annullare la memoria dei popoli conquistati, Foscolo scrive la parola altissima e definitiva sul valore fondamentale che per la civiltà ha il ricordo dei morti, di tutti i morti – gli umili che danno un senso alla famiglia , all’amore e all’amicizia, e i grandi, che con le loro grandi gesta spingono i viventi a imitarli e a compiere azioni valorose per la propria patria e per l’umanità.
La sua parola si leva altissima sulle coscienze degli uomini perché Foscolo non è stato solo un poeta, ma un grande patriota, un italiano immenso soprattutto perché nato in una terra estrema, di confine, un idealista romantico – mito del Risorgimento – che ha fatto sentire più di ogni altro il valore della italianità (intesa come letteratura, storia, lingua, cultura, tradizioni, bellezza) come fondante per la nascita come Stato di una delle più straordinarie civiltà di ogni tempo.
Riposa nella Chiesa di Santa Croce in Firenze, la chiesa dove sono sepolti molti grandi italiani, che lui cantò nel suo poemetto come luogo da cui avrebbe avuto inizio la riscossa dell’Italia. Chi entra in questa chiesa non può fare a meno di commuoversi.
…..Celeste è questa
corrispondenza d’amorosi sensi,
celeste dote è negli umani; e spesso
per lei si vive con l’amico estinto
e l’estinto con noi, se pia la terra
che lo raccolse infante e lo nutriva,
nel suo grembo materno ultimo asilo
porgendo, sacre le reliquie renda
dall’insultar de’ nembi e dal profano
piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,
e di fiori odorata arbore amica
le ceneri di molli ombre consoli.
Sol chi non lascia eredità d’affetti
poca gioia ha dell’urna; e se pur mira
dopo l’esequie, errar vede il suo spirto
fra ‘l compianto de’ templi acherontei,
o ricovrarsi sotto le grandi ale
del perdono d’lddio: ma la sua polve
lascia alle ortiche di deserta gleba
ove né donna innamorata preghi,
né passeggier solingo oda il sospiro
che dal tumulo a noi manda Natura.
(Ugo Foscolo, Dei Sepocri, vv. 29-50)
… A egregie cose il forte animo accendono
l’urne de’ forti, o Pindemonte; e bella
e santa fanno al peregrin la terra
che le ricetta. Io quando il monumento
vidi ove posa il corpo di quel grande
che temprando lo scettro a’ regnatori
gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela
di che lagrime grondi e di che sangue;
e l’arca di colui che nuovo Olimpo
alzò in Roma a’ Celesti; e di chi vide
sotto l’etereo padiglion rotarsi
piú mondi, e il Sole irradïarli immoto,
onde all’Anglo che tanta ala vi stese
sgombrò primo le vie del firmamento:
– Te beata, gridai, per le felici
aure pregne di vita, e pe’ lavacri
che da’ suoi gioghi a te versa Apennino!
Lieta dell’aer tuo veste la Luna
di luce limpidissima i tuoi colli
per vendemmia festanti, e le convalli
popolate di case e d’oliveti
mille di fiori al ciel mandano incensi:
e tu prima, Firenze, udivi il carme
che allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco…
(Ugo Foscolo, Dei Sepolcri, vv. 151-174)
Francesco Bellanti
