Nel cuore dell’attuale scenario educativo si avverte una profonda crisi della funzione formativa della scuola, che sembra aver smarrito la sua vocazione originaria: trasmettere valori condivisi e accompagnare la costruzione dell’identità personale. Come ha evidenziato il sociologo Gianluca Argentin nel suo intervento al Seminario Internazionale ADÌ del 2024, questa crisi è alimentata dalla crescente pervasività della logica di mercato, che ha invaso ogni ambito della società, compreso quello educativo.
La scuola, da luogo di crescita umana e culturale, si è progressivamente trasformata in un’istituzione orientata alla performance, all’efficienza e alla competizione. Questa deriva ha compromesso la dimensione comunitaria e relazionale dell’educazione, snaturando il principio fondante di una “comunità educante” in cui, come affermava don Lorenzo Milani, si cerca di “fare parti uguali tra disuguali”. L’istituzione scolastica assume sempre più i tratti di un’azienda, dove gli studenti apprendono il “fare” ma smarriscono il senso profondo dell’“essere”.
A questa trasformazione si aggiungono ulteriori fattori di criticità:
● la digitalizzazione massiva ha modificato radicalmente la didattica
● il pluralismo culturale rende complessa la costruzione di un senso comune
● si registra una crescente diffidenza da parte di studenti e famiglie nei confronti del sistema scolastico
In tale contesto, si inserisce con forza la proposta teorica di Massimo Marcuccio, il quale invita a ripensare la scuola come “palestra” di umanità, uno spazio generativo in cui l’educazione torni ad essere processo relazionale e trasformativo. Egli sottolinea l’urgenza di un nuovo patto educativo, fondato sulla corresponsabilità tra scuola, famiglie e territorio, capace di affrontare la complessità del tempo presente.
Alla luce di queste riflessioni, si propone un ritorno alle radici della tradizione cristiana, individuando negli scritti patristici le tracce di una nuova Paideia cristiana. Tale prospettiva, che potremmo definire come Sapienza della Paideia, mira a recuperare l’essenza dell’educazione come “educere”, ovvero “tirare fuori”, “condurre”, promuovendo un’idea di formazione integrale che accompagni i discenti nella costruzione di un’identità solida e consapevole.
Come affermava Sant’Agostino:
“Non si entra nella verità se non attraverso la carità” (De Doctrina Christiana, I,36)
Questa visione educativa non si limita all’acquisizione di competenze tecniche, ma si apre alla formazione dell’interiorità, alla maturazione della coscienza e alla responsabilità personale. Solo attraverso un’educazione che sappia coniugare sapere, senso e spiritualità sarà possibile affrontare le sfide della postmodernità con radici salde e uno sguardo aperto al futuro.
In questo orizzonte, recuperare il valore formativo della Sacra Scrittura risulta particolarmente significativo. Nella Seconda Lettera a Timoteo, San Paolo afferma:
«Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è utile per insegnare, convincere, correggere ed educare alla giustizia» (2Tm 3,16)
La Bibbia, dunque, non è solo testo religioso, ma patrimonio culturale e antropologico che offre chiavi di lettura profonde per comprendere l’essere umano e il suo cammino. Ricostituire la Bibbia all’interno del panorama scolastico non significa imporre un modello confessionale rigido, ma riconoscere in essa una risorsa spirituale capace di restituire alla scuola l’anima autentica dell’educazione.
Come scriveva Origene:
“La Scrittura è come un giardino: chi vi entra può cogliere fiori di ogni genere” (Homiliae in Numeros, 27)
In questo contesto, la figura del docente di IRC (Insegnamento della Religione Cattolica) assume un ruolo particolarmente significativo. Egli è chiamato a proporre percorsi formativi impregnati di senso, capaci di dialogare con la pluralità culturale e spirituale degli studenti, offrendo chiavi di lettura esistenziali e promuovendo una visione dell’educazione che non si limiti alla trasmissione di contenuti, ma favorisca la crescita dell’interiorità e della responsabilità personale.
Nei Vangeli, Gesù adotta una pedagogia progressiva e relazionale, che si sviluppa attraverso il dialogo, la parabola, il silenzio e l’interrogazione. Egli pone i suoi interlocutori in un atteggiamento di ascolto e riflessione, stimolando il pensiero critico e decisionale. Questa modalità educativa, lontana da ogni forma di indottrinamento, favorisce la maturazione interiore e la libertà responsabile.
Come affermava San Giovanni Crisostomo:
“Educare è più che insegnare: è formare l’anima, è guidare alla virtù” (Homiliae in Matthaeum, 59)
In un tempo segnato da frammentazione, disincanto e crisi del senso, l’educazione ha urgente bisogno di ritrovare il suo cuore pulsante: la formazione dell’essere umano nella sua interezza. La Paideia cristiana, radicata nella Sapienza biblica e nella tradizione patristica, offre una visione educativa capace di coniugare sapere e significato, tecnica e interiorità, comunità e trascendenza.
Rimettere al centro la dimensione spirituale e relazionale dell’educazione non è un ritorno nostalgico al passato, ma un atto di coraggio e di visione. È la scelta di credere che la scuola possa ancora essere luogo di crescita autentica, di incontro tra generazioni, di costruzione di coscienze libere e responsabili.
In questo cammino, la figura del docente — e in particolare del docente di IRC — può farsi guida e tessitore di percorsi formativi impregnati di senso, capaci di restituire alla scuola la sua vocazione originaria: educare all’essere, non solo al fare. Solo così sarà possibile affrontare le sfide della postmodernità con radici salde e uno sguardo aperto al futuro.
Giuseppe Lubrino
Foto di Adina Voicu da Pixabay

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