Il 2 novembre 2004, in una strada di Amsterdam, fu assassinato Theo van Gogh, regista, scrittore e polemista olandese, discendente del celebre pittore Vincent van Gogh. Fu colpito a morte da un fanatico islamista per aver osato fare ciò che ogni artista libero deve poter fare: parlare, denunciare, provocare, mettere in discussione. Il suo film Submission, realizzato insieme ad Ayaan Hirsi Ali, denunciava la condizione di alcune donne oppresse da interpretazioni radicali e violente dell’Islam. Pagò con la vita il coraggio di affrontare un tema che molti preferivano ignorare.
La sua morte non fu solo l’assassinio di un uomo: fu un attacco simbolico alla libertà di pensiero europea, alla sua eredità illuminista, alla sua capacità di guardare in faccia la verità, anche quando scomoda. Da quel giorno, l’Europa ha capito che non basta più proclamarsi libera — occorre difendere la libertà con fermezza, anche quando la paura o il conformismo suggerirebbero il silenzio.
Theo van Gogh non era un santo, ma un provocatore, spesso scomodo, a tratti brutale nel linguaggio. Eppure, è proprio nella voce degli spiriti liberi, anche degli eccessivi, che vive la democrazia. Quando un artista viene ucciso per un’opinione, non è solo lui a morire: muore una parte della coscienza europea.
Il fanatismo religioso che lo ha colpito non rappresenta una fede, ma una malattia dell’anima che trasforma la religione in odio, la devozione in arma. In molte città europee, la paura di offendere il fanatismo ha spinto intellettuali, giornalisti e politici a ritrarsi, autocensurarsi, a evitare qualsiasi critica. Ma la lezione di van Gogh è chiara: la libertà si difende non tacendo, bensì parlando.
Oggi, due decenni dopo, la sua morte resta un monito. L’Europa deve accogliere, rispettare, integrare — ma non rinunciare a se stessa. Tolleranza non significa resa, pluralismo non significa silenzio. La civiltà europea, nata dall’Umanesimo e dalla libertà di coscienza, non può sopravvivere se ha paura delle sue stesse idee.
Difendere la libertà di parola non è ostilità verso una religione, ma amore per la verità e per la dignità dell’uomo. Theo van Gogh lo capì, e per questo divenne un simbolo. La sua voce si è spenta, ma la sua lezione resta: una cultura che rinuncia a dire ciò che pensa, per paura di chi minaccia, è già una cultura sconfitta.
