Il solo nome di «Medio Oriente» rivela un’egemonia coloniale persistente, mascherando la realtà di un’«Asia occidentale» intrinsecamente multipolare. Questa terminologia non è neutra: è l’eco di una superpotenza occidentale e dei suoi alleati regionali, il cui obiettivo rimane la dominazione. Per spezzare il ciclo delle tensioni e dei conflitti, è imperativo respingere questa visione unilaterale e adottare un approccio fondato sulla dignità umana e sulla cooperazione.
Un’egemonia di questo tipo si riduce molto spesso a una politica di superiorità militare aggressiva ed espansionista, imposta sempre più da governanti senza il consenso dei governati. Tale politica implica l’eliminazione totale dei rivali o l’imposizione della propria autorità. Questa dinamica rafforza la resistenza regionale e allontana così il dominatore dal suo obiettivo, che dovrebbe includere tanto la legittimità politica quanto l’accettazione regionale. Come osserva il filosofo italiano Antonio Gramsci, ogni prospettiva alternativa a quella del dominatore può allora sembrare irrazionale o estrema.
Una pace duratura, capace di infrangere il ciclo infinito delle tensioni e dei conflitti, si ottiene mediante la diplomazia e il dialogo, con rispetto reciproco e sovranità egualitaria. La pace in Asia occidentale non può essere costruita sull’ideologia di un mondo interventista «presuntamente» libero —che si colloca sul «lato giusto della storia»— demonizzando le potenze emergenti mentre promuove un cambio di regime per il bene dei cittadini e disumanizza parte della popolazione che non vi si allinea.
Aggrapparsi al passato invece di aprirsi a un nuovo ordine mondiale non offre alcuna garanzia di sicurezza internazionale e regionale, né di strutture economiche e istituzioni internazionalmente sostenibili. Al contrario, ci avvicina sempre più all’abisso dell’Armageddon.
Se esiste una dominazione giusta, essa può solo provenire da Dio, che considera fondamentali la dignità e la libertà di ogni essere umano. Qualsiasi attacco alla dignità, restrizione della libertà ed exploitazione di individui o gruppi è contrario all’etica sociale cattolica.
Qualsiasi sistema o struttura che conduca alla dominazione ingiusta di un gruppo su un altro, sia a livello economico, politico o culturale, è inaccettabile. La Chiesa si oppone a ogni forma di egemonia che emargina e opprime. Per questo favorisce la solidarietà, la sussidiarietà e l’opzione preferenziale per i poveri. Gesù denuncia l’ipocrisia di una religiosità «esteriore» priva di spiritualità interiore, che è la vera espressione di un rapporto profondo e sincero con Dio.
Riconoscere e valorizzare la dimensione spirituale dell’umanità come forza trainante per la pace, la giustizia e la riconciliazione nel mondo —basandosi sui principi universali della dignità umana, del bene comune e della solidarietà, e promuovendo attivamente il dialogo interreligioso— si avvicina a una «diplomazia della spiritualità».
Questi valori cristiani non si impongono, ma permeano le persone e le società attraverso la testimonianza e il confronto sulle verità universali, nel rispetto della diversità culturale, compresi i valori, le credenze e le norme sociali. Come sottolinea papa Leone XIV: «La pace comincia da ciascuno di noi: dal modo in cui guardiamo gli altri, ascoltiamo gli altri, parliamo degli altri».
Al centro della nostra vita cristiana sta «l’amore e non il dominio»: solo esso è capace di condurre alla perfezione personale e sociale, permette alla società di progredire verso il bene, riflettendo l’amore di Dio e il sacrificio di Cristo, manifestandosi attraverso la compassione, il servizio e il rispetto universale di ogni persona.
Quelle che avete letto sono le parole del Cardinale Dominique Joseph Mathieu che ha messo nero su bianco sul sito Asia News.
Questa lettera del cardinale Mathieu, arcivescovo di Teherán-Isfahán dei latini, ha suscitato attenzione e dibattito. In un tempo segnato da tensioni geopolitiche crescenti, le sue parole non sono un intervento di circostanza, ma un tentativo di proporre un cambio di paradigma: una pace fondata non sull’imposizione dei più forti, bensì sulla dignità dei popoli e sulla sovranità degli Stati.
Gli aspetti positivi
Il cardinale mette il dito su una piaga reale: la tentazione delle potenze occidentali di imporre modelli culturali, politici e persino linguistici, mascherandoli da “universali”, quando in realtà portano l’impronta di interessi particolari. La critica al termine “Medio Oriente”, sostituito con “Asia occidentale”, è più che un dettaglio semantico: mostra come il linguaggio stesso possa perpetuare schemi coloniali e visioni gerarchiche. Mathieu richiama con forza la dottrina sociale della Chiesa, ribadendo principi che vanno dalla dignità della persona al bene comune, dalla solidarietà alla sussidiarietà. In questo senso, la sua prospettiva si inserisce armoniosamente nel solco di Pacem in terris di Giovanni XXIII e di Gaudium et spes del Concilio Vaticano II: pace, dialogo, diplomazia e rifiuto della violenza.
Anche l’insistenza su una “diplomazia della spiritualità” rappresenta un contributo originale. In un mondo che tende a ridurre le relazioni internazionali a calcoli di potenza, il richiamo al primato dell’amore, al rispetto reciproco e al dialogo interreligioso può sembrare ingenuo, ma è in realtà l’unico fondamento autentico di una pace duratura.
I limiti e le criticità
Non mancano, tuttavia, aspetti problematici. Il cardinale denuncia con chiarezza l’egemonia occidentale, ma rischia di apparire silenzioso sulle responsabilità di altre potenze regionali o globali che pure adottano logiche aggressive e imperiali. Se la denuncia non è equilibrata, il discorso può essere percepito come unilaterale e dunque meno efficace nel suo intento di favorire un ordine multipolare realmente giusto.
Inoltre, quando parla di “dominazione giusta che può solo venire da Dio”, Mathieu rischia di suscitare equivoci terminologici. La dottrina cattolica distingue infatti tra autorità legittima – fondata sul bene comune e sul consenso dei governati – e dominazione, che ha invece una connotazione negativa. Sarebbe più chiaro, e teologicamente più preciso, parlare di “autorità ordinata da Dio”, evitando di alimentare ambiguità interpretative.
Una sfida per la Chiesa e per il mondo
Il valore della lettera del cardinale Mathieu sta soprattutto nell’aprire un dibattito: la pace non può ridursi a un equilibrio di forze, né a un gioco di supremazie culturali. La Chiesa, in continuità con la sua tradizione, si fa portavoce di una visione più alta: una società internazionale fondata sulla dignità umana e sulla cooperazione. Al tempo stesso, per essere credibile, questa visione deve riconoscere con onestà le responsabilità diffuse e non cadere nella trappola di contrapporre un blocco a un altro.
In fondo, il messaggio finale del cardinale rimane limpido e disarmante: «al centro della vita cristiana c’è l’amore e non il dominio». Una frase che, se presa sul serio, non riguarda solo i rapporti tra Stati, ma ogni relazione umana, e che interpella tutti noi – credenti e non credenti – sulla possibilità di costruire un mondo in cui la forza non sia la prima lingua della politica.
