“Un popolo senza patria, una patria senza popolo”. Questa frase, tanto ripetuta negli ambienti sionisti, trova oggi un’eco viva e vibrante in un documento che segna una svolta epocale nella storia millenaria del popolo ebraico: la Dichiarazione Balfour, firmata il 2 novembre 1917, dal ministro degli Esteri britannico Arthur James Balfour e indirizzata a Lord Walter Rothschild, eminente rappresentante della comunità ebraica britannica.
Essa proclama, con parole solenni, il riconoscimento ufficiale del diritto del popolo ebraico a un focolare nazionale nella Terra di Israele, sotto la benevola protezione della Gran Bretagna.
Da quasi duemila anni, da quando le legioni di Tito distrussero il Tempio di Gerusalemme e dispersero Israele ai quattro venti, il popolo ebraico ha portato nel cuore un’unica speranza: “L’anno prossimo a Gerusalemme”.
Né persecuzioni, né esili, né conversioni forzate hanno potuto spegnere questo anelito. Dalle sinagoghe di Babilonia ai ghetti d’Europa, dalle comunità del Maghreb ai quartieri ebraici di Costantinopoli, il popolo d’Israele ha pregato con lo stesso volto rivolto a Oriente, verso la terra promessa ai padri: Avraham, Itzchak, Yaakov.
Con la Dichiarazione Balfour, questa speranza non è più soltanto preghiera: è promessa politica, impegno storico, realtà che comincia a prendere forma.
La Dichiarazione non nasce dal nulla. È il frutto di decenni di lavoro, diplomazia e fede del movimento sionista fondato da Theodor Herzl, che vide nel ritorno a Sion non solo una redenzione spirituale, ma una necessità nazionale.
Herzl scriveva: “A Basilea ho fondato lo Stato ebraico.” Pochi gli credettero allora, ma oggi, nel 1917, l’eco di quella profezia si concretizza in un atto di riconoscimento internazionale.
La Gran Bretagna, potenza guida del mondo moderno, si fa strumento della Provvidenza: riconosce che il popolo ebraico, antico come la civiltà stessa, ha diritto alla propria casa, alle proprie istituzioni, al proprio suolo.
Non è solo un gesto politico: è un atto di giustizia storica. Dopo secoli di esilio, Israele torna nella storia delle nazioni.
La Dichiarazione Balfour non è un atto di conquista o di esclusione. Essa afferma esplicitamente che “nulla sarà fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche in Palestina.”
Questo principio racchiude lo spirito più autentico del sionismo: la costruzione di una patria ebraica che viva in armonia con tutti i popoli che abitano la Terra Santa.
La rinascita d’Israele non è una minaccia, ma una promessa di progresso e di collaborazione: irrigazione delle terre, rinascita delle città, sviluppo delle scuole, dell’agricoltura, della medicina e della scienza.
Un piccolo popolo, armato di fede e di lavoro, potrà trasformare un deserto abbandonato in un giardino fiorente, come già avviene nei kibbutz e nelle colonie agricole fondate dai pionieri ebrei a Rishon LeZion, Petah Tikva, Degania.
La Dichiarazione Balfour è il primo riconoscimento ufficiale, da parte di una grande potenza, dell’identità nazionale ebraica. Essa restituisce dignità a un popolo troppo a lungo definito solo come “minoranza religiosa”. D’ora in avanti, il mondo dovrà ricordare che Israele non è solo una fede, ma una nazione viva, unita da lingua, storia e destino.
Il rinato ebraismo nazionale potrà offrire un rifugio agli oppressi dell’Est europeo, perseguitati dai pogrom e dall’antisemitismo; ma potrà anche diventare un centro spirituale per tutto il popolo disperso, un faro di cultura, di fede e di speranza.
Non è casuale che questo evento avvenga nel cuore della Grande Guerra, quando le vecchie potenze cadono e nuove nazioni nascono dalle rovine degli imperi. In un mondo che muta, anche Israele si rialza dalle ceneri della dispersione. Molti vi vedono un segno dei tempi, una prefigurazione profetica: “Il Signore ricostruirà Sion, e apparirà nella Sua gloria” (Salmo 102,17).
Forse, agli occhi degli uomini, la Dichiarazione Balfour è un atto politico. Ma per gli ebrei, essa è qualcosa di più: è il primo raggio di luce dell’alba messianica, il compimento di una promessa antica quanto la Bibbia.
D’ora in poi, il cammino sarà lungo e difficile. Nessuno ignora le tensioni che potranno sorgere, né le prove che attendono i pionieri di Eretz Israel. Ma un popolo che ha saputo sopravvivere a Babilonia, a Roma, all’Inquisizione e ai pogrom, saprà anche rinascere nella sua terra.
La Dichiarazione Balfour è la chiave che apre la porta della speranza. È il primo passo verso la ricostruzione del focolare d’Israele, dove il popolo ebraico potrà finalmente vivere libero, lavorare, pregare e parlare la lingua dei profeti nella terra dei suoi padri.
Il 2 novembre 1917 resterà una data sacra nella memoria d’Israele. Non solo come un atto diplomatico, ma come l’inizio del ritorno. Dopo duemila anni, la storia ha pronunciato una parola che il popolo ebraico attendeva da secoli: “Torna a casa”.
