Il 5 novembre 1943, in un momento tra i più oscuri della storia contemporanea, quando l’Europa era divorata dalle fiamme della Seconda guerra mondiale e Roma viveva sotto l’angoscia dell’occupazione tedesca, un evento gravissimo e quasi dimenticato colpì il cuore stesso della Cristianità: Città del Vaticano, Stato neutrale riconosciuto dal diritto internazionale, venne bombardata.
Quattro ordigni esplosero all’interno del minuscolo territorio sacro, violando la sovranità del Pontefice e il carattere inviolabile di quella cittadella di pace che, anche nei giorni più drammatici del conflitto, aveva continuato a essere rifugio di carità, di preghiera e di umanità.
L’attacco avvenne nella notte, poco dopo le 20.10: un velivolo, non identificato e proveniente da direzione ignota, sorvolò il Vaticano a bassa quota e sganciò quattro bombe che caddero nei pressi della Stazione ferroviaria vaticana, del Palazzo del Governatorato e dell’area dei Giardini Vaticani.
I danni materiali furono considerevoli: furono distrutti alcuni edifici tecnici, danneggiati i vetri delle finestre del Palazzo Apostolico e si registrarono feriti tra il personale di servizio. Ma la gravità del gesto non si misura solo nelle conseguenze materiali: fu un atto che, agli occhi del mondo, rappresentò un affronto diretto al principio di neutralità della Santa Sede, alla sua missione universale di pace e alla figura del Papa, allora Pio XII, che in quei mesi si adoperava incessantemente per alleviare le sofferenze dei civili, intercedere per i prigionieri e difendere gli ebrei perseguitati.
La Santa Sede, dopo l’attacco, mantenne un riserbo prudente, evitando di accusare apertamente alcuna nazione belligerante, ma non mancarono profonde preoccupazioni. In un tempo in cui le potenze militari non esitavano a calpestare le leggi internazionali e il diritto naturale, il bombardamento del Vaticano apparve a molti come il segno tangibile di quanto la guerra avesse ormai oltrepassato ogni limite morale.
Numerosi storici hanno discusso, negli anni, la paternità dell’attacco. Alcune ipotesi hanno attribuito la responsabilità a un errore di navigazione degli Alleati, che in quei giorni bombardavano obiettivi militari a Roma; altri studiosi, tuttavia, hanno avanzato la teoria di una deliberata provocazione, forse orchestrata per screditare la Santa Sede o creare confusione sulla sua posizione di neutralità.
Esistono documenti e testimonianze che suggeriscono persino l’intervento di un velivolo con insegne fasulle, impiegato per manipolare la percezione pubblica e colpire indirettamente la credibilità di Pio XII, la cui prudente diplomazia stava irritando più di una cancelleria.
Qualunque fosse la mano che gettò quelle bombe, il significato simbolico dell’attacco rimane inequivocabile: in un mondo impazzito, nessun luogo sembrava più al riparo dal furore umano, nemmeno il centro spirituale della cattolicità. Eppure, da quella notte di terrore, la Santa Sede uscì moralmente intatta. Pio XII non lasciò che l’episodio incrinasse la sua missione; al contrario, intensificò gli sforzi di assistenza e di intercessione, rafforzando il ruolo del Vaticano come ultimo baluardo di umanità in una civiltà lacerata.
Il Pontefice continuò a ricevere profughi, rifugiati politici, ebrei perseguitati, e mantenne, con eroica coerenza, la linea di indipendenza spirituale e politica che la Chiesa aveva sempre difeso nei secoli. Il bombardamento del 5 novembre 1943, oggi quasi dimenticato dai manuali di storia, dovrebbe invece essere ricordato come un monito e un simbolo: monito contro ogni violazione della neutralità e del sacro, simbolo della fermezza del Vaticano nel mantenere la sua voce di pace anche quando la violenza tentava di zittirla.
Quell’esplosione nel buio non riuscì a spegnere la luce che da secoli arde sulla Città Eterna, luce che nemmeno le bombe della guerra mondiale poterono soffocare, e che ancora oggi illumina la coscienza del mondo cristiano e dell’intera umanità.
