Il 22 ottobre 1978, in una Piazza San Pietro gremita e vibrante di attesa, Giovanni Paolo II inaugurava un pontificato che avrebbe segnato in modo indelebile la storia della Chiesa e del mondo. Quel giovane Papa polacco, venuto “da un Paese lontano”, come egli stesso disse con voce ferma e commossa, portava con sé non solo l’esperienza della sofferenza sotto il nazismo e il comunismo, ma anche una visione universale, una fede incrollabile e una volontà di ferro.
Il suo pontificato, durato quasi ventisette anni, fu un’epopea spirituale e umana, un cammino che intrecciò l’evangelizzazione con la difesa della libertà, la dignità dell’uomo con la verità del Vangelo. Sin dai primi giorni, Giovanni Paolo II si pose come un segno di contraddizione in un secolo ferito dalle ideologie totalitarie. Il suo coraggio nel parlare apertamente contro il comunismo contribuì in modo decisivo al crollo del blocco sovietico.
La sua voce, che risuonò a Varsavia nel 1979 con il celebre “Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!”, fu come una scintilla divina che infiammò la speranza di un popolo oppresso e, più tardi, di un intero continente. Fu la parola che ridiede l’anima alla Polonia e, attraverso Solidarność, al movimento di liberazione dell’Europa dell’Est.
Senza di lui, la caduta del Muro di Berlino nel 1989 non avrebbe avuto la stessa forza simbolica e spirituale: dietro ogni mattone che crollava vi era l’eco delle sue omelie, delle sue visite, dei suoi appelli alla libertà fondata sulla verità e sulla responsabilità morale. Ma Giovanni Paolo II non fu soltanto il Papa che contribuì a liberare i popoli dalla tirannia del comunismo: fu anche il grande apostolo della dignità umana in un’epoca segnata dal relativismo e dalla cultura della morte.
Con le encicliche “Redemptor Hominis”, “Evangelium Vitae”, “Veritatis Splendor” e “Fides et Ratio”, egli delineò una profonda antropologia cristiana, ricordando che la libertà non è arbitrio ma apertura alla verità, che la ragione e la fede non si oppongono ma si sostengono, che la vita umana è sacra dal concepimento fino alla morte naturale.
Difese la famiglia, la vita nascente, il diritto dei popoli alla pace, e pose la Chiesa al centro del dialogo con il mondo contemporaneo, mai cedendo al compromesso ma sempre cercando di illuminare le coscienze. In un secolo che aveva idolatrato il progresso tecnico dimenticando l’anima, egli restituì al mondo la parola “spirito”. La sua instancabile attività pastorale lo portò in ogni angolo del pianeta: 104 viaggi apostolici internazionali, migliaia di incontri, milioni di persone toccate dalla sua presenza.
Mai un Papa era stato così vicino ai fedeli, così presente tra i giovani, i poveri, i malati, i perseguitati. I suoi incontri con i giovani nelle Giornate Mondiali della Gioventù divennero momenti storici di una nuova evangelizzazione, capaci di infondere entusiasmo e speranza nelle nuove generazioni. Egli seppe parlare ai cuori con un linguaggio universale, quello dell’amore e della croce, e portò Cristo dentro la modernità, senza temerla ma redimendola.
Fu anche il Papa del perdono e della riconciliazione: indimenticabile il gesto con cui, nel 1983, si recò nella cella del suo attentatore, Ali Ağca, per offrirgli il suo perdono. In quel gesto, l’umanità intera vide incarnarsi la misericordia cristiana, più forte dell’odio e della violenza. Promosse il dialogo interreligioso, invitando alla pace e alla comprensione reciproca, senza mai confondere l’ecumenismo con il relativismo: il suo incontro ad Assisi nel 1986 rimane un simbolo potente della ricerca della pace nella verità.
Fu anche il Papa della cultura, della filosofia, dell’arte e della bellezza: amante del teatro e della poesia, scrisse con profondità mistica e intellettuale, lasciando un patrimonio di pensiero che continua a ispirare. Ma fu soprattutto un testimone del dolore redento: il suo corpo piegato dalla malattia negli ultimi anni fu una predicazione silenziosa sulla dignità della sofferenza, un messaggio al mondo che il valore della vita non si misura dalla forza fisica, ma dall’amore con cui si vive.
Quando, il 2 aprile 2005, si spense nel silenzio del suo appartamento vaticano, il mondo intero comprese di aver perso non solo un Papa, ma un padre, un profeta, un gigante del secolo. Giovanni Paolo II lasciò una Chiesa rinnovata nella missione e rafforzata nella fede, un’umanità chiamata a non aver paura di Cristo. A distanza di decenni, il suo grido “Totus Tuus” risuona ancora come una consegna e una promessa: tutto per Cristo, tutto per l’uomo, tutto per la verità che sola rende liberi.
