È ben vero che Pelè (nato il 23 ottobre 1940, morto il 29 dicembre del 2022) ritenesse Maradona (nato il 30 ottobre 1960, morto il 25 novembre 2020) l’unico che poteva stargli a fianco, forse appena sette centimetri sotto come la differenza fra le loro stature, e questo glielo riconobbe un giorno lo stesso Pibe de Oro, ma non è questo lo scopo di queste mie parole.
Paragoni futili, Diego Armando Maradona cominciò a giocare a calcio quando Edson Arantes do Nascimento detto Pelè appese le scarpe al chiodo, nel 1977.
È come fare confronti fra Leopardi e Manzoni, stupido confronto fra vette altissime. E poi, troppo perfetta la vita del brasiliano, anche dopo il calcio, rispetto a quella dell’argentino, distrutto dalla cocaina, figura controversa e piena di problemi che stava bene solo in uno stadio, figlio del popolo e della miseria che volle schierarsi contro i potenti a favore degli oppressi, ma non gli fu possibile esserlo per le sue contraddizioni e per la condotta della sua vita, che certo non fu un buon esempio per nessuno, nemmeno per i ragazzini, a cui disse di voler dedicare la sua vita.
Queste parole non sono dettate da ipocrita moralismo, perché quando si è personaggio pubblico la vita mai si separa e la storia giudica la totalità della nostra esistenza. Maradona non fu buon marito e nemmeno buon padre, fu dipendente dalla droga e dall’alcol, evasore fiscale, adultero ed ebbe cattive amicizie, eppure forse anche per questo è disperatamente amato e compianto, fino alla follia.
Perché Maradona era umano, troppo umano, e Pelè no: troppo perfetta la sua vita, anche dopo il calcio. Non diventò allenatore perché aveva dietro una leggenda, non poteva che perdere. Uso il passato perché anch’egli, benché vivo, si è consegnato da tempo alla sua leggenda.
L’uomo di cui si disse che se non fosse nato uomo sarebbe nato pallone, fu attore e scrittore, compositore, ministro per lo sport e ambasciatore dell’ONU per l’ambiente e della FIFA per il calcio, una vita in lotta contro la droga e le discriminazioni razziali e sessuali. Fu nominato infine Patrimonio storico-sportivo dell’umanità, calciatore del secolo per la FIFA, ebbe il Pallone d’oro FIFA del secolo, e, unico calciatore al mondo, il Pallone d’oro FIFA onorario.
Pur venendo dalla povertà pure lui, Pelé come Maradona non amava il potere e il mondo borghese e delle istituzioni, ma sapeva che per cambiarlo doveva conviverci. Unico calciatore a vincere tre titoli mondiali, non si capisce quante reti abbia segnato, forse 1280, forse 1000, o 900. Vinse decine di titoli e di coppe, fu il miglior cannoniere della Seleção e del mondo intero, ma non si può fare un confronto sulla base dei trofei vinti, risulterebbe di gran lunga vincitore Pelè.
È corretto invece dire che mentre Maradona giocò in Europa, Pelè giocò sempre in Brasile e sempre col suo Santos, il che non vuol dire affatto che se la passò bene – ché se il Brasile ha vinto cinque titoli mondiali il calciò lì non doveva essere scadente – ma che O Rei giocò, Dio fra Dei, con Carlos Alberto, Djalma e Nilton Santos, con Didi, Vava, Garrincha, con Jairzinho, Gerson, Tostao, Rivelino, mentre Maradona con Renica e Bruscolotti. Pelè non ha giocato in Europa come Maradona, ma ha sconfitto tutte le nazionali più forti del mondo.
Io piccolino ho visto giocare l’uno in bianco e nero e l’altro a colori, e così li ho sognati, con Corso della Grande Inter, scomparso pure lui in questo maledetto 2020, ultimi rappresentanti di un calcio romantico, tutto musica e danza, fuori dagli schemi.
Pelè aveva un fisico perfetto, 172 cm per 75 chili di muscoli, era un giocatore completo, forte di testa, di piede sinistro e destro, aveva intelligenza, tecnica, velocità ed eleganza, dribbling eccezionali. Gianni Brera lo definì il giocatore perfetto. Con un paio di cosce ipertrofiche e un tronco nel quale stavano due polmoni e un cuore perfetti, che in centoventi partite fu capace di segnare più di tre reti a partita.
Non era un essere umano, era di un altro pianeta, un extraterrestre, completo, era pura poesia. Nella finale del 1970, con il Brasile più forte di tutti i tempi, che segnava quattro gol a partita, contro l’Italia più forte di sempre, che aveva Mazzola, Rivera, Riva, Boninsegna, Burgnich, Facchetti, Domenghini, Albertosi e tanti altri, segnò un gol così bello che lui è ancora in alto con il suo colpo di testa e Burgnich è sceso da 50 anni.
Maradona era più piccolo di Pelè e non era fortissimo di testa, ma aveva il baricentro basso e cosce robuste, era velocissimo e non era facile abbatterlo. Aveva grande intelligenza tattica e doti tecniche elevate, aveva la palla incollata al piede e governava e lanciava la palla come voleva lui, anche con curvature estreme, aveva grande dribbling e precisione nei passaggi, una visione di gioco a 360 gradi e una grande personalità, governava la palla come un Dio, e anche di lui si può dire che se non fosse nato uomo sarebbe nato come palla.
Di Maradona voglio ricordare quello che ricordano tutti, il gol de La mano de Dios – che non gli fa onore, certo – e il gol più bello della storia del calcio, quello segnato – come il primo – contro l’Inghilterra nei quarti di finale della Coppa del Mondo del 1986 a Città del Messico, quando prese palla a centrocampo e in undici secondi, dopo avere dribblato mezza squadra inglese, scaraventò nella porta di Shilton non solo un pallone, ma tutta l’Argentina che si vendicava così della guerra perduta delle Malvine, sconvolgendo tutte le leggi del gioco del calcio.
