Il 23 ottobre 1863, a Torino, in un’Italia appena unificata, Quintino Sella — scienziato, patriota, uomo politico e amante delle montagne — fondava il Club Alpino Italiano (CAI). Quella data, che può sembrare una semplice nota di costume, rappresenta invece una delle pietre miliari nella costruzione della coscienza civile e culturale del nostro Paese. Il CAI non nacque soltanto per riunire alpinisti, ma per educare gli italiani alla conoscenza del proprio territorio, al rispetto della natura e al valore della comunità.
Quando Sella riunì un piccolo gruppo di amici per la prima ascensione al Monviso e propose la fondazione del Club Alpino, l’Italia aveva poco più di due anni di vita. Le ferite delle guerre risorgimentali erano ancora aperte, e il senso di appartenenza a una nuova nazione era tutto da costruire.
Il CAI divenne così una scuola di cittadinanza e di identità, dove l’amore per le montagne si univa all’idea di un Paese unito dalla conoscenza del proprio territorio. Le Alpi, fino ad allora viste come confine o barriera, cominciavano a essere percepite come spina dorsale dell’Italia, spazio di incontro tra popoli e culture, palestra di libertà e di rigore morale.
Il motto implicito del CAI, fin dalle origini, non fu solo “conquistare le vette”, ma “conoscere se stessi attraverso la montagna”. Sella e i suoi successori videro nell’alpinismo una disciplina morale, un’educazione alla fatica, alla responsabilità e alla solidarietà.
Salire una cima, condividere un rifugio, aiutare un compagno in difficoltà, rispettare il silenzio delle valli: tutto questo formava cittadini migliori, capaci di riconoscere il valore del limite e la bellezza della sobrietà.
Non a caso, il CAI divenne presto anche un laboratorio scientifico e culturale, promuovendo studi geografici, geologici, botanici e glaciologici, pubblicando riviste e carte topografiche, costruendo rifugi e sentieri, formando guide alpine e volontari del soccorso.
Nel tempo, il CAI ha ampliato il suo orizzonte, passando da un’élite di alpinisti a un movimento popolare diffuso in tutto il Paese. Oggi conta centinaia di sezioni e oltre 300.000 soci, un numero che testimonia la vitalità di un’associazione che ha saputo adattarsi senza tradire i suoi ideali.
Il CAI non è solo un’organizzazione sportiva: è un presidio culturale e ambientale. È stato tra i primi a promuovere la tutela dei paesaggi montani, a denunciare gli scempi edilizi, a difendere i ghiacciai e la biodiversità, a diffondere un’idea sostenibile di turismo.
In un’epoca segnata dalla crisi climatica, dalle migrazioni montane e dal rischio di abbandono dei territori alpini e appenninici, il CAI continua a svolgere un ruolo cruciale: custodire la montagna come bene comune, come spazio di equilibrio tra uomo e natura, come luogo di memoria e di futuro.
Accanto all’attività escursionistica, il Club Alpino Italiano svolge una missione educativa di grande rilievo. Attraverso le sue scuole di alpinismo, sezioni giovanili, corsi di formazione e progetti con le scuole, il CAI insegna alle nuove generazioni a leggere il paesaggio, a muoversi in sicurezza, a rispettare l’ambiente e a costruire relazioni autentiche.
In un tempo in cui la fretta e la virtualità rischiano di impoverire il nostro sguardo, il CAI invita a rallentare, a camminare, a osservare. Ogni sentiero diventa così un cammino di conoscenza e ogni vetta un punto di vista più alto non solo sul mondo, ma su se stessi.
A più di un secolo e mezzo dalla sua fondazione, il Club Alpino Italiano rimane una testimonianza viva di spirito civico, passione culturale e impegno collettivo. Le sue bandiere continuano a sventolare sulle cime e nei rifugi, ma anche nei cuori di chi crede che la montagna non sia solo sfida fisica, bensì patrimonio morale e spirituale dell’Italia.
Nel 1863 Quintino Sella scrisse: “La montagna unisce ciò che la politica divide”. Mai come oggi queste parole risuonano attuali. In un mondo frammentato, il CAI continua a ricordarci che salire insieme significa riconciliarsi con la natura, con gli altri e con la parte più alta di noi stessi.
