Il 15 ottobre 1940 segna una delle date più importanti nella storia del cinema e, più ancora, nella storia della coscienza umana: in quel giorno usciva nelle sale Il grande dittatore di Charlie Chaplin, un film che avrebbe saputo trasformare la comicità in un’arma morale, la risata in un atto di coraggio, la satira in una dichiarazione universale di libertà.
Chaplin, che fino ad allora era stato amato come il dolce e malinconico vagabondo Charlot, osa affrontare il potere più oscuro e temuto del suo tempo, caricaturando Adolf Hitler e il nazismo quando ancora la guerra infuriava e il mondo non conosceva ancora l’intera portata dell’orrore che si sarebbe svelato nei campi di sterminio.
È un gesto artistico e umano di straordinaria audacia: un comico che sfida il tiranno, un artista che con la forza delle immagini e delle parole rompe il silenzio dell’angoscia e della complicità. In un’epoca in cui Hollywood, per prudenza o per calcolo, preferiva non irritare la Germania nazista, Chaplin sceglie la via più rischiosa: fa ridere di ciò che non si doveva nominare, fa piangere di ciò che si stava fingendo di non vedere.
E nel fare questo, inventa una forma nuova di cinema politico, capace di unire la forza della denuncia alla poesia del linguaggio universale del gesto. Il suo doppiogiochismo scenico – l’ebreo barbiere e il dittatore Adenoid Hynkel – è un capolavoro di ambiguità morale e di lucidità simbolica: due uomini identici nel volto ma opposti nello spirito, due possibilità dell’umanità davanti alla barbarie.
Il monologo finale, quel discorso vibrante in cui il barbiere si finge Hynkel per parlare invece a nome dell’umanità intera, resta una delle più alte pagine della storia del cinema. Chaplin vi invoca la fine dell’odio, la vittoria della compassione, la libertà come destino comune dei popoli: parole semplici, pronunciate con la voce rotta dell’emozione, che oggi suonano ancora come un testamento e un monito.
In quel momento il cinema smette di essere solo spettacolo per diventare coscienza, smette di intrattenere per cominciare a testimoniare. Il grande dittatore è il punto d’incontro tra arte e responsabilità, tra comicità e profezia: un film che non appartiene soltanto alla storia del Novecento, ma all’eternità del coraggio umano.
Rivederlo oggi significa ricordare che ridere non è mai un gesto neutro, che la risata può smascherare il potere, che il genio di un artista può ancora parlare a nome di tutti quando la paura rende muti i più.
Chaplin, con il suo sorriso fragile e la sua voce finalmente trovata dopo anni di cinema muto, ci consegna un messaggio che non invecchia: l’uomo vale più della macchina, la bontà più della forza, la libertà più della paura.
In un tempo in cui i nuovi totalitarismi assumono forme diverse ma non meno insidiose, resta una lezione viva, una candela accesa contro l’oscurità, la prova che anche il cinema può essere una forma di resistenza.
