Il 31 ottobre 1954, data che la storiografia moderna celebra come l’alba dell’indipendenza algerina, segna in realtà l’inizio di una delle più dolorose illusioni politiche del XX secolo: la nascita di una libertà solo apparente, che avrebbe rapidamente ceduto il passo a regimi islamisti autoritari e violenti.
Quel giorno, il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) diede avvio a un’insurrezione contro il governo coloniale francese, presentandola come una nobile lotta per la dignità e l’autodeterminazione del popolo algerino. Ma dietro la retorica della liberazione si nascondeva un progetto ideologico che nulla aveva a che vedere con la libertà, e tutto con la conquista del potere mediante il terrore.
La guerra che ne seguì fu segnata da atrocità inenarrabili, massacri di civili, attentati, torture e rappresaglie: un conflitto non solo politico ma profondamente religioso e identitario, nel quale il rifiuto della Francia cattolica e laicizzata divenne anche un rifiuto dell’eredità cristiana e occidentale che essa rappresentava.
La decolonizzazione algerina, salutata dagli intellettuali progressisti come un trionfo dei popoli oppressi, si rivelò presto un dramma: il nuovo Stato indipendente nacque nel sangue, e il potere fu monopolizzato da un partito unico che represse ogni dissenso, instaurando un regime di tipo socialista-islamico, permeato dall’odio verso l’Occidente e da una visione teocratica della società.
Le speranze di democrazia e sviluppo furono inghiottite da un sistema corrotto e violento, in cui la religione venne strumentalizzata per legittimare la tirannia. Negli anni successivi, l’Algeria divenne un modello negativo per molte altre nazioni africane e mediorientali: il mito della liberazione dal “colonialismo europeo” servì solo a sostituire un’autorità esterna, imperfetta ma portatrice di civiltà, con una tirannia interna, più brutale e più ideologica.
Là dove erano sorte scuole, ospedali, infrastrutture e amministrazioni moderne, subentrarono la decadenza, l’analfabetismo, la repressione e la fuga di migliaia di cristiani e di europei che per generazioni avevano vissuto e lavorato in quella terra.
L’Algeria indipendente, lungi dal divenire un faro di libertà, divenne una culla dell’islamismo militante: gli anni Novanta furono funestati da una guerra civile spaventosa tra il regime e i gruppi islamici radicali, con decine di migliaia di vittime, villaggi rasi al suolo, donne violentate, chiese distrutte e sacerdoti assassinati.
La violenza che esplose allora non era che il frutto avvelenato di quella semina del 1954: una cultura del risentimento, nutrita da decenni di propaganda anti-occidentale e di rifiuto dei valori cristiani, che trasformò la religione in strumento di dominio e la politica in fanatismo. Chi aveva creduto che la fine del colonialismo avrebbe portato la pace e la giustizia si trovò davanti a una nuova forma di oppressione, più feroce perché mascherata da fede.
La decolonizzazione, sradicando ogni riferimento alla tradizione cristiana e alla civiltà europea, non fece che consegnare interi popoli a regimi che negarono la libertà di coscienza, la dignità della donna, la tolleranza religiosa e lo stato di diritto. L’Algeria, da allora, resta prigioniera di una contraddizione insanabile: proclamarsi nazione moderna, ma fondare la propria identità sul rifiuto sistematico dell’Occidente e sulla subordinazione della legge civile alla sharia.
L’Europa, a sua volta, si è resa complice di questa tragedia con il suo senso di colpa post-coloniale, rinunciando a difendere la verità storica del suo contributo civilizzatore e lasciando che la menzogna ideologica della “liberazione” oscurasse la realtà: che l’ordine portato dalla presenza francese, pur con le sue ombre, aveva garantito sviluppo, stabilità e convivenza religiosa.
Oggi, a più di settant’anni dall’inizio della rivolta, l’Algeria resta simbolo di ciò che accade quando la libertà è separata dalla verità e la politica dalla fede. La decolonizzazione senza evangelizzazione, la libertà senza Cristo, non producono civiltà ma caos; non liberano i popoli, li consegnano ai nuovi faraoni dell’integralismo e della corruzione.
L’unica vera liberazione, anche per le attuali nazioni islamiche, non potrà mai venire dal sangue delle rivoluzioni, ma solo dalla Croce di Cristo, che sola libera l’uomo dal peccato e fonda la pace sulle radici della verità e della carità.
Giuseppe Canisio
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