Il 28 ottobre 1922 rappresenta una delle date più decisive e controverse della storia italiana contemporanea: la Marcia su Roma, l’evento con cui il movimento fascista, guidato da Benito Mussolini, giunse al potere segnando l’inizio di un ventennio destinato a trasformare radicalmente la vita politica, sociale e istituzionale del Paese.
Il contesto in cui maturò quella svolta era quello di un’Italia uscita stremata dalla Prima guerra mondiale, segnata da gravi tensioni economiche, disoccupazione, conflitti sociali e una crisi profonda della classe politica liberale, incapace di dare risposte efficaci ai problemi di un Paese disilluso e frammentato.
La cosiddetta “vittoria mutilata”, la difficoltà dei reduci nel reinserirsi nella vita civile, le agitazioni operaie e contadine e il timore di una rivoluzione bolscevica avevano alimentato un clima di disordine e incertezza, dentro il quale il movimento fascista seppe inserirsi con abilità, presentandosi come forza di ordine e di rinnovamento nazionale.
In poche settimane dell’autunno 1922, dopo mesi di scontri, violenze e occupazioni da parte delle squadre d’azione fasciste, il movimento si mosse verso Roma per esercitare una pressione decisiva sul governo e sul re. La Marcia su Roma, organizzata più come una dimostrazione di forza che come una vera insurrezione armata, vide la partecipazione di migliaia di squadristi provenienti da diverse regioni, che si concentrarono intorno alla capitale mentre Mussolini attendeva a Milano l’evolversi della situazione politica.
Il governo allora presieduto da Luigi Facta propose al re, Vittorio Emanuele III, di firmare lo stato d’assedio per reprimere il tentativo di colpo di forza, ma il sovrano si rifiutò, preferendo evitare uno scontro civile che avrebbe potuto dividere l’esercito e il Paese. Fu quella decisione a risultare determinante: il 30 ottobre 1922 Mussolini fu convocato a Roma e ricevette dal re l’incarico di formare un nuovo governo.
Il passaggio di potere avvenne formalmente secondo le procedure costituzionali, ma di fatto segnò la fine dello Stato liberale e l’inizio della costruzione di un regime autoritario. La Marcia su Roma, pur avendo avuto un carattere simbolico più che militare, divenne il mito fondativo del fascismo, l’atto con cui il movimento si presentò come la forza capace di salvare l’Italia dal caos e di restituirle orgoglio, disciplina e stabilità. Negli anni successivi, quel giorno fu celebrato come una data sacra del regime, emblema della rinascita nazionale e della “rivoluzione fascista”.
Dal punto di vista storico, la Marcia su Roma non fu solo un colpo politico, ma anche l’espressione di un processo più ampio di crisi delle istituzioni liberali e di trasformazione dei rapporti di forza nella società italiana. Segnò l’inizio di una nuova fase in cui il potere si concentrò progressivamente nelle mani di Mussolini, culminando con la soppressione delle libertà democratiche e la nascita dello Stato totalitario.
A distanza di oltre un secolo, la Marcia su Roma continua a rappresentare un momento chiave per comprendere come le fragilità politiche, economiche e morali di un Paese possano aprire la strada a svolte autoritarie, quando le istituzioni non riescono più a interpretare le esigenze e le paure della società.
Nonostante il suo carattere incruento e la relativa brevità dell’evento in sé, il suo significato storico fu immenso: non solo perché segnò la fine di un’epoca, ma perché mise in luce la potenza dei miti politici, della propaganda e della mobilitazione di massa in un’Europa che, negli anni successivi, avrebbe visto affermarsi altri regimi autoritari sotto diverse forme e bandiere.
La Marcia su Roma rimane dunque una data che, più che evocare una semplice manifestazione, simboleggia una trasformazione profonda del modo di concepire il potere, la nazione e la partecipazione politica, e continua a interrogare la coscienza civile del Paese sulla fragilità della democrazia e sulla responsabilità della storia.
