Era la notte del 12 ottobre 1984 quando un boato squarciò il silenzio del Grand Hotel di Brighton. Un ordigno dell’IRA, collocato giorni prima e programmato per esplodere durante il congresso del Partito Conservatore, fece crollare parte dell’edificio, uccidendo cinque persone e ferendone decine. L’obiettivo era chiaro: colpire il cuore politico del Regno Unito e, con esso, la sua figura più simbolica, Margaret Thatcher. La “Lady di ferro” sopravvisse. E poche ore dopo, ancora scossa ma intatta, si presentò al congresso e pronunciò il suo discorso come se nulla fosse accaduto. Quell’episodio, carico di dolore e terrore, divenne un’icona della sua intransigente determinazione.
Per un cattolico conservatore, la figura di Margaret Thatcher è complessa, e il giudizio su di lei non può essere né di pura ammirazione né di semplice condanna. Tuttavia, la notte di Brighton resta un segno provvidenziale: l’attentato fallì, e l’Inghilterra vide incarnata, nella sua premier, la fermezza di chi non si lascia piegare dal male.
La Thatcher rappresentò, in un’epoca di smarrimento morale e sociale, una rinascita del principio d’autorità, del merito e della responsabilità personale. Dopo decenni di statalismo e collettivismo, ella riaffermò con forza l’idea che la libertà non nasce dal sussidio, ma dal lavoro e dall’iniziativa; che la società non si rigenera con i programmi sociali, ma con la virtù dei singoli e la solidità della famiglia. Questo, per un cattolico, risuona con il principio di sussidiarietà tanto caro alla Dottrina sociale della Chiesa: ciò che può fare la persona, la famiglia o la comunità locale non dev’essere usurpato dallo Stato.
Eppure, la sua visione aveva anche limiti. Nel suo zelo liberista, la Thatcher talvolta sacrificò la dimensione comunitaria, riducendo la coesione sociale a una somma di individui forti e autosufficienti. Il suo celebre detto — “There is no such thing as society” — suona estraneo al cuore cattolico, che riconosce invece nella società un organismo morale, un corpo che vive di solidarietà, carità e bene comune. La libertà, se disgiunta dal legame fraterno, può trasformarsi in solitudine economica.
Sul piano politico, la Thatcher ebbe il merito di non cedere al terrorismo, né in Irlanda né altrove. La sua fermezza nel rifiutare ogni trattativa con chi usava la violenza fu segno di giustizia e di ordine. La pace non può nascere dal compromesso con il male, ma dal pentimento e dal rispetto della legge morale. Tuttavia, il cattolico non può dimenticare che l’Irlanda — terra di fede e di sofferenza — portava nel suo cuore una ferita secolare. A volte la rigidità britannica, anche quella della “Lady di ferro”, parve dimenticare la dimensione spirituale e storica di quella ferita.
Eppure, guardando alla Thatcher, non si può non riconoscere una statura morale rara nel panorama politico moderno. Ella credette in valori, non in slogan; in doveri, non in desideri. La sua vita privata, segnata da sobrietà, disciplina e senso del servizio, restò coerente con la sua azione pubblica.
La notte di Brighton, dunque, non fu solo un attentato contro una donna di governo, ma contro l’idea stessa di una civiltà fondata sull’ordine e sul coraggio. La bomba dell’IRA voleva uccidere il simbolo di un’Inghilterra che ancora credeva nella forza della legge e nel valore della libertà. Non ci riuscì.
Margaret Thatcher, sopravvissuta alle macerie, rappresentò — pur con i suoi limiti — la convinzione che la verità morale e il dovere civico valgano più del consenso. Un cattolico conservatore può guardare a lei con rispetto, vedendo in quella notte di sangue una parabola moderna: quando le fondamenta tremano, solo chi ha principi saldi può restare in piedi.
