L’approvazione definitiva della riforma costituzionale che introduce la separazione delle carriere tra magistratura requirente e giudicante rappresenta un passaggio storico e necessario per la piena maturità democratica del nostro ordinamento.
Dopo decenni di dibattiti, di resistenze corporative e di compromessi inconcludenti, il Parlamento ha finalmente avuto il coraggio di affermare un principio tanto semplice quanto decisivo: chi accusa e chi giudica non possono appartenere allo stesso corpo.
È una questione di logica istituzionale, di garanzia per i cittadini e di equilibrio tra i poteri dello Stato. Non si tratta di mettere in discussione l’indipendenza della magistratura, bensì di rafforzarla, distinguendo in modo netto le funzioni e le responsabilità di chi esercita l’azione penale da quelle di chi deve giudicare con imparzialità.
L’attuale commistione, eredità di una visione ormai superata, ha generato nel tempo una sovrapposizione di ruoli e di carriere che inevitabilmente rischia di influenzare la serenità del giudizio, rendendo il sistema meno trasparente e più esposto a logiche interne di corrente.
Con due Consigli Superiori della Magistratura distinti, composti in parte tramite sorteggio per ridurre l’influenza dei gruppi organizzati, si compie un passo verso una magistratura più autonoma dalle sue stesse dinamiche di potere, più responsabile e più vicina al cittadino.
Il referendum confermativo annunciato sarà l’occasione per ribadire questo principio di civiltà giuridica: non esiste vera giustizia senza la percezione di imparzialità, e non esiste imparzialità senza una chiara separazione delle funzioni.
La riforma non è un attacco, ma una liberazione; non è una minaccia all’indipendenza dei giudici, ma la condizione per renderla effettiva e credibile. Chi si oppone, evocando spettri di “pieni poteri”, difende di fatto lo status quo, un sistema in cui la magistratura è stata insieme potere e contro-potere, accusatore e giudice, controllore e controllato.
È tempo di superare queste ambiguità e di restituire ai cittadini la fiducia in una giustizia limpida, equa e capace di distinguere con rigore ruoli e responsabilità. La separazione delle carriere non divide la magistratura: la rende finalmente coerente con i principi costituzionali e con le migliori democrazie occidentali.
