Il 22 ottobre 1964, l’Accademia di Svezia annunciava che il Premio Nobel per la Letteratura veniva assegnato a Jean-Paul Sartre, scrittore e filosofo francese, fondatore dell’esistenzialismo ateo. Poche ore dopo, la notizia suscitò sorpresa nel mondo intero: Sartre rifiutava il riconoscimento. Egli dichiarò che un intellettuale non deve mai farsi “istituzione”, né accettare onorificenze che rischino di limitarne la libertà critica. Non volle essere “recuperato” dal sistema borghese che egli stesso aveva sempre denunciato.
Da un punto di vista umano, tale gesto possiede una coerenza indubbia: Sartre restò fedele fino alla fine al proprio principio d’indipendenza assoluta. Il suo rifiuto del Nobel fu un atto di orgoglio intellettuale, ma anche di una certa onestà personale: non volle apparire come l’icona ufficiale di un potere culturale che egli disprezzava. Tuttavia, proprio questa “fedeltà” rivela l’essenza drammatica della sua filosofia — e il suo errore di fondo.
Sartre, come egli stesso affermò in L’Être et le Néant, costruisce tutta la propria visione sul presupposto che “Dio non esiste”. Da questa negazione nasce la sua celebre affermazione: “l’esistenza precede l’essenza”. L’uomo, secondo lui, non è più creato da Dio con una natura definita, ma è un nulla che si costruisce da sé, che si inventa liberamente nel corso della propria esistenza. È l’uomo “gettato nel mondo” senza significato, costretto a creare da solo il proprio senso.
Ma questa apparente libertà è in realtà una condanna. Privato del fondamento divino, l’essere umano diventa arbitro assoluto del bene e del male, prigioniero di una libertà che non ha né origine né scopo. L’esistenzialismo di Sartre è la proclamazione della solitudine metafisica dell’uomo. Non vi è più un Creatore, non vi è più un ordine oggettivo di verità, né un bene che preceda la volontà. Tutto diventa “progetto soggettivo”, e dunque tutto è fragile, relativo, destinato al nulla.
Da questa concezione deriva l’etica dell’angoscia: se non esiste un Dio che fondi i valori, ogni scelta umana è un atto arbitrario, e tuttavia infinitamente pesante, poiché ogni uomo diventa “responsabile di tutto il genere umano”. L’uomo sartreano è schiacciato dal peso di una libertà senza legge, condannato a scegliere senza criteri, a creare senso dove non ve n’è alcuno.
La visione cattolica tradizionale, invece, riconosce che la libertà autentica non consiste nel potere di inventare il bene, ma nel conformarsi al Bene che è Dio stesso. La libertà, separata dalla verità, degenera in arbitrio. L’uomo, se vuole essere veramente libero, deve orientare la propria volontà a ciò che è oggettivamente giusto e buono. “La verità vi farà liberi”, dice il Vangelo (Gv 8,32): ma l’esistenzialismo nega che vi sia una verità da ricevere, sostituendola con una libertà che si auto-divora.
Il rifiuto del Nobel da parte di Sartre fu dunque un gesto coerente, ma non necessariamente nobile. Egli rifiutò un simbolo dell’istituzione perché la sua filosofia stessa rifiutava ogni forma di autorità e di ordine superiore. Tuttavia, dietro la sua “autonomia” vi era l’incapacità di riconoscere che la verità non nasce dall’individuo, ma la precede.
Sartre volle restare “libero da tutto”, ma così restò prigioniero di sé stesso. In nome dell’autenticità, negò la trascendenza; in nome della libertà, negò la Verità; in nome dell’uomo, negò Dio — e così negò anche l’uomo, riducendolo a un frammento di coscienza senza destino eterno.
Oggi, a più di sessant’anni di distanza, la lezione del 22 ottobre 1964 resta attuale. Il mondo moderno continua ad ammirare l’uomo che “non accetta premi”, che “rifiuta le regole”, che “si fa da sé”. Ma questo mito dell’autonomia assoluta ha condotto l’umanità a un abisso di smarrimento. Quando si cancella Dio, non si libera l’uomo: lo si abbandona al nulla.
La Chiesa cattolica, al contrario, insegna che la vera dignità dell’uomo nasce dalla sua dipendenza da Dio Creatore e Redentore. Solo in Cristo — Verbo fatto carne — l’esistenza ritrova la propria essenza. Solo in Lui la libertà trova il suo compimento.
Sartre non volle essere “istituzione”: e in questo, inconsapevolmente, confessò la sua sete di assoluto. Ma quel vuoto che egli proclamò come libertà era, in fondo, una nostalgia di Dio.
Jean-Paul Sartre rifiutò il Premio Nobel per coerenza con sé stesso, ma la sua filosofia resta una tragica testimonianza del destino dell’uomo che vuole essere “Dio senza Dio”: un’esistenza che si pretende sovrana, ma che finisce inevitabilmente nel nulla.
