Il 21 ottobre 1969, la Somalia fu strappata al fragile cammino verso una possibile democrazia da un colpo di Stato militare che portò al potere il generale Mohammed Siad Barre, una figura che per oltre due decenni avrebbe trasformato la speranza di una nazione indipendente in un incubo di repressione, autoritarismo e violenza sistematica.
L’avvento di Barre fu accolto inizialmente da alcuni settori della popolazione con cauto ottimismo, illusi dalla retorica del socialismo scientifico e della modernizzazione pan-somala, ma ben presto l’entusiasmo lasciò spazio al terrore, alla censura, alla brutalità e a una dittatura che fece della paura un’arma quotidiana.
Il regime di Barre si contraddistinse per una violenta repressione degli oppositori politici, incarcerati senza processo, torturati, fatti sparire o uccisi. I partiti furono sciolti, la stampa indipendente messa a tacere, le libertà civili completamente annientate.
La sua ossessione per il controllo si manifestò nella creazione di una rete capillare di servizi segreti, che penetravano in ogni ambito della società, trasformando la fiducia tra cittadini in sospetto, in delazione, in paranoia.
Ma fu nella guerra contro il popolo degli Isaaq, negli anni Ottanta, che il volto più feroce del regime si rivelò in tutta la sua barbarie: un vero e proprio genocidio fu perpetrato nel nord del Paese, con decine di migliaia di civili massacrati, città come Hargeisa rase al suolo da bombardamenti condotti dallo stesso esercito somalo, impiegando armi fornite da potenze esterne compiacenti.
L’oppressione economica, la corruzione dilagante e il nepotismo completarono il quadro di un potere fondato non sulla legittimità popolare ma sulla forza delle armi e sull’annientamento del dissenso.
Siad Barre tradì ogni principio di giustizia e autodeterminazione, trasformando uno Stato già fragile in un campo di battaglia permanente, spingendolo verso un collasso che si sarebbe concretizzato nel 1991 con la sua fuga e la disintegrazione dello Stato stesso, aprendo le porte a una guerra civile che avrebbe insanguinato la Somalia per decenni.
Nessuna ideologia, nessun pretesto di progresso o di ordine può giustificare l’orrore sistemico e calcolato che Barre inflisse al suo popolo. La sua eredità è quella di un tiranno che distrusse ciò che avrebbe dovuto proteggere, che calpestò con violenza la dignità di milioni di somali e che lasciò dietro di sé un Paese in rovina, ferito nell’anima e nel corpo.
Oggi, ricordare il suo colpo di Stato non è solo un dovere della memoria, ma un monito contro l’indifferenza e la complicità che troppo a lungo permisero a un regime sanguinario di perpetrare crimini in nome dell’ordine.
Condannare le violenze di Mohammed Siad Barre significa difendere l’umanità, la libertà e la verità, anche quando sono state violentate nel silenzio della comunità internazionale.
